I MONUMENTI DI ITRI SONO:
CASTELLO MEDIEVALE
COME ARRIVARE: (possibile arrivare solo a piedi)
Partendo da Via Ponte Tavolato (Fondi) svoltate a destra sulla Strada Statale 7 che porta a Itri e andate sempre dritto fino a che vedrete di fronte a voi nella parte alta del borgo, il Castello Medievale. Arrivati a Piazzale Padre Pio dove potete parcheggiare, lasciatevi il piazzale alle spalle e proseguite a destra sulla Strada Statale 7 e imboccate la prima strada a sinistra dall’altro lato del marciapiede, Via Santa Maria della Misericordia. Arrivati in fondo alla strada, arriverete a un bivio. Girate a sinistra su Via di Porta Carrese, e subito all’inizio di questa strada, a sinistra, troverete una scalinata con un arco. Quella è Porta Mamurra, che dà accesso al borgo. Superate l’arco e girate a destra, su Via di San Martino, e andate sempre dritto arrivando a Piazza Frà Diavolo, dove si trovano i resti della Chiesa di Santa Maria. Qui prendete le scale sulla sinistra, e arriverete alle spalle della Chiesa di San Michele Arcangelo. Proseguite a sinistra su Via di S. Angelo, e arriverete davanti alla chiesa menzionata pocanzi. Proseguite dritto su questa via, e in fondo alla strada noterete una piccola curva a sinistra, dove troverete l’ingresso al Castello.
Il Castello Medievale è collocato sulla parte più alta della collina di Sant’Angelo. E’ stato costruito in più volte, partendo dalla torre pentagonale risalente all’anno 882, fatta costruire dal Duca di Gaeta, Docibile I. Anni dopo, precisamente nel 950, suo nipote Marino I fece costruire la seconda torre quadrata, più grande della precedente, proprio a dimostrazione della sua superiorità. Circa 2 secoli dopo, la famiglia Caetani che ne prese possesso, costruì il resto del castello che comprendeva il centro abitativo, la terza torre cilindrica e il camminamento che unisce le 2 costruzioni precedenti con tutto il resto del castello, tutto questo dal 1234 in poi.
La torre cilindrica, detta anche “Torre del Coccodrillo” è avvolta da una misteriosa leggenda. Quest’ultima narra infatti che i condannati a morte, venivano dati in pasto ad un coccodrillo che si trovava sul fondo della torre, in una pozza d’acqua, facendo sparire così ogni traccia del malcapitato. Ma di questa leggenda c’è solo un piccolo fondo di verità, che riguarda il fatto che effettivamente sul fondo della torre ristagnasse dell’acqua, ma non riconducibile all’habitat del coccodrillo, anche perché non sono mai stati ritrovati resti umani che provassero tale leggenda.
Nel fortilizio del castello, dove ora sono presenti 3 piccole torrette, era presente un’area adibita al ristoro dei cavalli e alla servitù. Inoltre è possibile vedere da un cancelletto, il ghetto ebraico dove una volta era presente una sinagoga, ormai scomparsa.
La parte abitativa del castello si svolge su 3 piani, dove è possibile vedere la cisterna dell’acqua piovana, l’antica fornace e una specie di vasca che veniva utilizzata come dispensa, in quanto veniva valutata come la parte più fresca del castello. Un altro piano invece è caratterizzato dal soffitto molto basso, che ricorda chiaramente come la statura media degli uomini a quei tempi fosse più bassa rispetto ad oggi. Nel piano superiore si può vedere quel che resta di un camino e un affresco raffigurante la Vergine col Bambino e Sant’Antonio Abate.
Da quest’ultimo piano, si può chiaramente accedere alla terrazza del castello e al camminamento che conduce alla Torre del Coccodrillo. Un’altra leggenda aleggia su questo camminamento esterno; si dice infatti che durante le notti di temporale, si sentano dei lamenti di fantasmi e che sia addirittura possibile veder fluttuare dei mantelli lungo la scalinata che collega il castello alla Torre del Coccodrillo.
Il castello fu danneggiato durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, e fu poi acquistato dalla provincia di Latina nel 1979 e poi ceduto al comune di Itri.
LA NOSTRA ESPERIENZA
Dopo aver risalito il borgo dalla strada principale in basso, siamo arrivati finalmente all’entrata del castello. Il cancello esterno apre la strada verso la piazzola adiacente con la porta d’ingresso, in cui è possibile vedere una targa su una delle pareti del castello, che descrive gli eventi della cessione di quest’ultimo al comune di Itri.



Da questa piazzola è possibile avere una bella visuale del territorio di Itri, inoltre si può accedere ad un altro spiazzale da dove, tramite un cancelletto, sembra sia possibile vedere il ghetto ebraico, ma noi non siamo scesi fino al cancello.
Quello che invece abbiamo fatto, è dirigerci subito verso l’entrata, incuriositi molto dall’interno della struttura. Così, saliti le scale, siamo entrati nel castello. Ad accoglierci abbiamo trovato la gentilissima Flavia, che ci ha raccontato la storia della costruzione del castello. Non è stato possibile effettuare una visita guidata, ma nonostante manchino i pannelli illustrativi, la spiegazione di Flavia è stata molto chiara e intuitiva. Da segnalare che all’interno del castello è possibile spostarsi di piano in piano anche con l’ausilio di un ascensore, oltre ovviamente alle classiche scale.
Vi ricordiamo che il giorno in cui siamo andati noi, la visita era gratuita, ma generalmente il biglietto d’ingresso ha un costo che non sappiamo quantificare, ma dovrebbe essere dai 3 ad un massimo di 5 euro a persona.

Il primo piano che abbiamo visitato, è costituito per lo più da pareti vuote in fase di allestimento, dato che sono presenti alcuni ritrovamenti archeologici che “alloggiano” momentaneamente nella struttura in attesa di un’ubicazione più consona. Da quel che abbiamo saputo infatti, questa piccola area del castello si sta sviluppando come una stanzetta da “museo”, pronta ad ospitare questo, ed altri ritrovamenti archeologici.
Il prossimo piano che abbiamo visitato è stato quello inferiore, più interessante a nostro modo di vedere rispetto al precedente. Di fatti abbiamo potuto vedere la cisterna dell’acqua piovana e la fornace, ma la parte più interessante è stata la zona che si ritiene sia stata usata come dispensa per il cibo, infatti abbiamo palesemente notato come ci sia in quel punto un calo evidente di temperatura (siamo stati qui a fine Giugno e faceva già molto caldo, ma in questo punto si stava palesemente più freschi). La cosa che si nota subito è anche la bassezza del soffitto in questo piano, che come ci raccontava Flavia, dimostra la bassa statura degli uomini all’epoca.


Purtroppo c’è da segnalare come venga tenuta disordinata la struttura in questo punto; infatti abbiamo trovato svariati oggetti buttati un po’ ovunque in alcuni punti delle stanze, a dimostrazione che c’è ancora del lavoro da fare, ma servirebbe un po’ di attenzione in più a certi dettagli.
Finita l’ispezione del piano inferiore, siamo passati al piano superiore, certamente il più suggestivo tra i 3. Prima di oltrepassare il camminamento esterno, siamo andati nelle altre 2 stanze del piano superiore dove è possibile vedere i resti di un camino, e ciò che rimane di un affresco (l’unico visibile) raffigurante la Vergine col Bambino e Sant’Antonio Abate. Non sappiamo se sia effettivamente l’unico affresco che c’era o se ce ne fossero altri andati dispersi.



Da questo piano siamo saliti poi sulla terrazza panoramica, il punto accessibile più alto del castello. Da qui ci siamo davvero divertiti a fare foto da ogni angolazione, godendoci il panorama magnifico che offre Itri. Dalla terrazza è possibile scendere altre scale che riportano indietro fino allo snodo dove si trova il camminamento esterno.
A nostro modo di vedere, quella che segue è stata la parte più suggestiva e interessante del castello. Il camminamento che collega la parte abitativa con la Torre del Coccodrillo, è formata da una serie di scalini larghi e ben definiti, contornati da una serie di mattoncini messi a scala, che accompagnano la traversata dandovi “davvero” l’idea di trovarvi in un vero castello! Oltre a questa visione, chiaramente, vi basta guardare di fronte a voi per vedere la maestosità della Torre del Coccodrillo, che con i suoi “mattoncini medievali” dà la definitiva affermazione che siete all’interno di un castello vero e proprio! Vi consigliamo di fermarvi a fare foto su questo tratto, perché è davvero suggestivo.




Piccolo particolare: ci siamo soffermati nella speranza di veder fluttuare qualche spettro, ma poi ci siamo dimenticati che in genere si avvistano di notte e con il temporale… e quindi ci abbiamo rinunciato 😀
Finita la traversata ci siamo imbattuti nella famosa Torre del Coccodrillo, contornata da miti e leggende sulla storia del coccodrillo divora uomini. La torre è cilindrica ed è attraversata all’interno da una scala a chiocciola. Dopo esser scesi un po’ verso il basso, siamo finiti sulla porta che dà all’esterno della torre. Uscendo abbiamo potuto fare altre foto interessanti, tra cui una dove è possibile vedere un tratto dell’antica Via Appia.


Continuata la discesa siamo finiti nella parte più bassa della torre e….. niente! Purtroppo niente coccodrilli e niente resti di ossa umane 😀 ma continuando ulteriormente si possono scendere alcuni scalini davvero molto alti, e finire verso una porta che abbiamo però trovato chiusa.
Non ci resta altro da fare che tornare indietro tutto all’inizio, per ringraziare la gentilissima Flavia, e lasciare una piccola firma del nostro ricordo sul libro messo a disposizione per i visitatori. E’ stata una bella esperienza, che vi consigliamo assolutamente di fare se passate una giornata a Itri, soprattutto se volete provare ad imbattervi in qualche spettro vagante 😀
FONTANA GIOACCHINO MURAT
COME ARRIVARE: (possibile arrivare con l’automobile)
Partendo da Via Ponte Tavolato (Fondi) svoltate a destra sulla Strada Statale 7 che porta a Itri e andate sempre dritto fino a che vedrete di fronte a voi nella parte alta del borgo, il Castello Medievale. A quel punto tenete gli occhi sulla sinistra perché dopo qualche centinaia di metri troverete l’Osteria Murat proprio sulla sinistra, e accanto ad essa la Fontana di Gioacchino Murat.
Questa fontana venne costruita nel 1810, sotto il governo di Gioacchino Murat. Costruita durante la discesa in Italia dei francesi, prima con il Re Giuseppe Bonaparte, e poi con lo stesso Gioacchino Murat. E’ un chiaro esempio di arte artigiana, lavorata interamente a mano con le pietre del posto, così da sottolineare l’importanza del territorio.
LA NOSTRA ESPERIENZA
A nostro modo di vedere, la fontana risulta un po’ abbandonata a se stessa. Nonostante sia la fontana principale del paese, non viene valorizzata a livello visivo. Il suo getto d’acqua è basso e purtroppo non riesce ad attirare l’attenzione nemmeno con il rumore dell’acqua. Inoltre non è dotata di illuminazione notturna, e ciò la rende quasi invisibile al buio.

Esteticamente si presenta come una vasca rotonda, con 4 rubinetti posti su altrettanti lati, da cui fuoriesce l’acqua. Mentre in cima alla struttura è presente una palla da cui fuoriesce il getto d’acqua principale.
MONUMENTO AI CADUTI
COME ARRIVARE: (possibile arrivare con l’automobile)
Partendo da Via Ponte Tavolato (Fondi) svoltate a destra sulla Strada Statale 7 che porta a Itri e andate sempre dritto fino a che vedrete di fronte a voi nella parte alta del borgo, il Castello Medievale. A quel punto tenete gli occhi sulla sinistra perché dopo qualche centinaia di metri troverete l’Osteria Murat proprio sulla sinistra, e accanto ad essa la Fontana di Gioacchino Murat. Appena vedrete la fontana girate a sinistra, e proseguite dritto per qualche metro, fino a vedere sulla vostra sinistra uno spiazzo verde con il Monumento ai Caduti.
Nello spiazzale sono presenti in realtà 2 Monumenti dedicati agli uomini caduti in entrambe le Guerre Mondiali. Il primo rappresenta l’allegoria della Vittoria come donna armata. Frezzan, l’artista che ha creato questa rappresentazione nel 1962, nella scelta del soggetto ha puntato su una figura allegorica invece di ricorrere all’esaltazione di soldati ed eroi caduti. Accanto al monumento si trova la lapide che ricorda i dispersi, posta nel 1978.
LA NOSTRA ESPERIENZA
Ci piace sempre quando ai caduti in guerra viene dedicato non solo il monumento, ma anche una piccola area verde. Nello spiazzale infatti sono presenti targhe e monumenti ad onorare i soldati Itrani.
Una targa attaccata ad un pezzo di muro, ricorda come in quest’area siano presenti solo i nomi dei dispersi, mentre non si hanno tracce dei loro resti. Uno dei 2 monumenti rappresenta una donna alata, allegoria della Vittoria, sopra un basamento, che tiene in mano qualcosa, ma per quanto ci siamo sforzati di capire, non siamo riusciti a decifrare di cosa si tratti.


Invece l’altro monumento è dedicato solo ad un uomo. Si tratta del sottotenente Domenico De Spagnolis, paracadutista che dopo l’ 8 Settembre del 1943 si rifiutò di consegnare le armi ai tedeschi, unendosi con le truppe alleate, ricevendo la Medaglia di Bronzo al valore militare.

Si tratta di una targa raffigurante Itri nel periodo della guerra, con soldati e paracadutisti con tanto di velivoli, e la raffigurazione del sottotenente in primo piano, morto il 29 Giugno del 1983.
In basso a destra dell’iscrizione è riportato l’anno 2009, ma non sappiamo se sia riferito alla costruzione dei monumenti.
ARCO DELLA PACE
COME ARRIVARE: (possibile arrivare solo a piedi)
Partendo da Via Ponte Tavolato (Fondi) svoltate a destra sulla Strada Statale 7 che porta a Itri e andate sempre dritto fino a che vedrete di fronte a voi nella parte alta del borgo, il Castello Medievale. A quel punto tenete gli occhi sulla sinistra perché dopo qualche centinaia di metri troverete l’Osteria Murat proprio sulla sinistra, e accanto ad essa la Fontana di Gioacchino Murat. Appena vedrete la fontana girate a sinistra, e proseguite dritto per qualche metro, fino a vedere sulla vostra sinistra uno spiazzo verde con il Monumento ai Caduti. Da qui salite a piedi sulle scale alle spalle del Monumento ai Caduti, e sulla piazza troverete l’Arco della Pace.
Il Monumento è formato da un arco con una fontanella e 2 rane ai lati, ed è stato costruito nel 1989 dallo scultore Giuseppe Quinto.
LA NOSTRA ESPERIENZA
Saliti alle spalle del Monumento ai Caduti, siamo arrivati all’Arco della Pace. La cosa curiosa è che un’estremità dell’arco tocca terra, mentre l’altra finisce in una piccola mezzaluna che viene riempita d’acqua da 2 ranocchie tramite le loro bocche. La mezzaluna ricorda un po’ un piccolo stagno, ma è l’unico collegamento che abbiamo trovato con le rane, non sapendo per quale motivo siano state scelte per abbellire questa fontanella.


MONUMENTO FRA’ DIAVOLO
COME ARRIVARE: (E’ possibile arrivare con l’auto al Monumento di Frà Diavolo, ma vi consigliamo di andare direttamente a piedi da sotto la strada principale in quanto le vie del borgo sono molto strette).
Partendo da Via Ponte Tavolato (Fondi) svoltate a destra sulla Strada Statale 7 che porta a Itri e andate sempre dritto fino a che vedrete di fronte a voi nella parte alta del borgo, il Castello Medievale. Arrivati a Piazzale Padre Pio dove potete parcheggiare, lasciatevi il piazzale alle spalle e proseguite a destra sulla Strada Statale 7 e imboccate la prima strada a sinistra dall’altro lato del marciapiede, Via Santa Maria della Misericordia. Arrivati in fondo alla strada, arriverete a un bivio. Girate a sinistra su Via di Porta Carrese, e subito all’inizio di questa strada, a sinistra, troverete una scalinata con un arco. Quella è Porta Mamurra, che dà accesso al borgo. Superate l’arco e girate a destra, su Via di San Martino, e andate sempre dritto arrivando a Piazza Fra’ Diavolo dove troverete il Monumento di Fra’ Diavolo.
Michele Arcangelo Pezza nacque a Itri il 7 Aprile del 1771, ed è stato un brigante noto per aver preso parte alle insorgenze dei movimenti legittimisti sanfedisti.
Era il quinto di 8 figli di Francesco Pezza e di Arcangela Matullo. Il suo doppio nome deriva dal fatto che fu battezzato nella Chiesa di San Michele Arcangelo. All’età di soli 5 anni, una grave malattia mise in pericolo la sua vita, e la madre fece un voto a San Francesco di Paola per sperare che potesse aiutarlo visto che le cure che provava risultarono poco efficaci. Di conseguenza lo promise frate, nel caso lo avesse salvato. Per adempire a questo voto materno, Michele rimase vestito da frate per lungo tempo, guadagnandosi il nome di Fra’ Michele.
Dopo non molto tempo, il suo soprannome cambio in “Fra’ Diavolo”, ma per saperne il motivo vi rimandiamo alla sezione “curiosità“ dove troverete informazioni sui resti della casa di Fra’ Diavolo e sull’origine del suo soprannome.
Quando crebbe, suo padre lo prese con sé per lavorare nei campi, ma notando che il suo interesse era più per i cavalli che per le olive, lo mandò a lavorare da un suo amico sellaio di nome Eleuterio Agresti, e ci rimase per alcuni anni. Un giorno però, durante una rude discussione, Eleuterio alzo le mani a Michele, che rispose uccidendolo con un grosso ago utilizzato per imbastire le selle, e uccise anche il fratello della vittima, che aveva giurato vendetta verso il ragazzo.
Da quel momento iniziò un periodo di vagabondaggio per lui, latitando e rimanendo in contatto con numerosi briganti, ricevendo in poco tempo la stima dei suoi compagni che lo trattarono come un capo.
Nel 1797 presentò domanda per far sì che la pena per il duplice omicidio avvenuto anni prima, fosse commutata in servizio militare. Accolta la domanda, Michele fu arruolato in uno dei reggimenti del Regno di Sicilia. Il servizio militare sarebbe dovuto durare ben 13 anni. Un anno dopo, Michele partì come soldato dell’esercito borbonico.
Dopo un lungo periodo, il Re di Napoli decise di attaccare Roma, e l’esercito di cui faceva parte Michele, riuscì a conquistare la capitale. Dopo aver assaporato cosa significasse conquistare una città, Michele decise di ritornare nel suo paese natale Itri, mentre nel frattempo l’esercito napoleonico si preparava ad invadere il Regno di Napoli.
Per invadere il territorio di Napoli, l’esercito francese sarebbe dovuto passare per la Via Appia e quindi per Itri. Michele, che conosceva benissimo il territorio, pensò di poter attaccare e fare molti danni al nemico. Così formò un piccolo esercito dove si unirono a lui prima i suoi fratelli, e poi gli abitanti del paese nominandolo come capo delle truppe. Decise quindi di aspettare il nemico nel Fortino di Sant’Andrea.
I francesi non si aspettavano un tale attacco, e furono costretti a chiamare rinforzi. Il 29 Dicembre tre battaglioni polacchi invasero il paese dopo aver occupato il fortino, e uccisero il padre di Michele, che giurò vendetta. Durante la notte tornò in paese dopo essersi nascosto tra le montagne, per dare degna sepoltura al padre.
Dopo aver riunito 600 uomini escogitò un piano; pensò di conquistare la fortezza più potente del regno a Gaeta per farne la sua base, ma arrivato sul posto, scoprì che il comandante svizzero Tschudy si era già arreso ai francesi. A questo punto dopo varie vicissitudini non gli rimase che tornare a Itri partecipando a tutti i tentativi di rivolta contro i francesi; si piazzò sulla Via Appia intercettando tutti i corrieri così da bloccare le comunicazioni tra Roma e Napoli.
Nel 1799 si formò una seconda coalizione contro Napoleone, e Fra’ Diavolo si presentò agli inglesi come soldato del regno di Napoli ottenendo 2 cannoni e una barca. Le sue azioni furono così utili agli inglesi che le sue gesta furono elogiate fino ad arrivare alle orecchie di Re Ferdinando IV che lo scelse come capitano durante la seconda coalizione alla fortezza di Gaeta, mentre la consorte regina Maria Carolina D’Austria gli regalò una spilla di diamanti.
Re Ferdinando IV pianificò la conquista di Roma ancora in mano ai francesi, e Michele partecipò alla campagna militare. Dopo non molto si sposò con Fortunata Rachele De Franco, una ragazza di Napoli conosciuta durante l’occupazione francese. Pochi giorni dopo partì con le sue truppe per sferrare un attacco a Roma, e nell’attesa dell’arrivo dei rinforzi napoletani, saccheggiò tutti i villaggi vicino ad Albano Laziale, uccidendo anche il sindaco del paese.
Dopo la liberazione di Roma, Fra’ Diavolo fu arrestato e incarcerato a Castel Sant’Angelo, ma evase dalla prigionia poco tempo dopo. Dopo oltre 200km di fuga, giunse a Napoli e ottenne la possibilità di far visita a Re Ferdinando IV che lo ricompensò cancellando dei debiti che aveva.
Nei primi anni dell’800 diventò padre di 2 bambini. Nel 1806 Napoleone decise di dichiarare guerra al Regno di Napoli, e Re Ferdinando IV decise di richiamare Michele Pezza, ben felice di tornare all’azione. Pochi giorni dopo però, ricevette un’ordinanza dove si richiese di non aggredire l’armata napoleonica, ma fu uno dei pochi a disobbedire a tale ordine. Fra’ Diavolo, che aveva sempre avuto il desiderio di costruire la base a Gaeta, si recò sul posto senza indugiare. Michele rischiò più volte di essere catturato e ucciso, e addirittura i francesi cercarono di corromperlo con del denaro, ma si rifiutò di tradire il suo Re.
Poco tempo dopo diventò luogotenente dell’ammiraglio inglese William Sidney Smith, che gli propose il progetto di sollevazione delle Calabrie e l’avanzata dell’esercito fino a Napoli. Michele, insieme alle sue “legioni della vendetta” conquistò numerose vittorie contro i francesi. Giunto alla corte del Re, Fra’ Diavolo fu ricompensato con il titolo di Duca di Cassano. Nei giorni successivi però, i francesi erano diventati padroni del regno riconquistando la fortezza di Gaeta.
Michele tentò un’impresa disperata; radunò gli unici uomini pronti a seguirlo, circa 500, e si trincerò a Sora. Dopo aver ricevuto numerosi attacchi, si spostò a Valle Roveto. Divenne in poco tempo l’uomo più ricercato del Regno di Napoli, con una taglia sulla sua testa di 17,000 ducati. Rintanato nella Valle di Boiano insieme ai suoi pochi uomini rimasti, dovette accettare per forza lo scontro; la battaglia durò circa 6 ore a causa della pioggia fitta che rese inutilizzabili i fucili, che di conseguenza fecero svolgere la battaglia con armi bianche.
Ancora una volta Fra’ Diavolo riuscì a respingere l’attacco dei francesi (ne morirono circa 400), e si rifugiò a Benevento con gli ultimi uomini rimasti, credendo di essere al sicuro, ma il colonnello Joseph Leopold Sigisbert Hugo lo trovò e lo affrontò in una sanguinosa battaglia, dove Fra’ Diavolo rimase con soli 50 uomini.
Giunto a Cava de Tirreni, Michele decise che il gruppo degli ultimi uomini rimasti si sarebbe sciolto, mandando ognuno per la sua strada. Dopo aver vagato da solo per molti giorni, il 1 Novembre del 1806 si fermò in una spezieria e venne riconosciuto dal titolare e venne catturato a Baronissi. il 3 Novembre venne imprigionato a Napoli e il 10 dello stesso mese venne proclamata la sua condanna a morte dal tribunale a Castel Capuano.
Fu impiccato a Piazza del Mercato l’11 Novembre del 1806. Per l’esecuzione fu vestito con la divisa dell’esercito borbonico, e il suo corpo senza vita fu lasciato per molte ore ben in vista come monito alla popolazione. Il suo funerale fu svolto nella Cattedrale di Palermo, mentre la sepoltura avvenne a Napoli, nella Chiesa degli Incurabili.
Il monumento è dedicato alla memoria di Michele Pezza, detto Fra’ Diavolo, noto brigante nato a Itri nel 1771, famoso per aver guidato le battaglie contro l’esercito francese. La più famosa è sicuramente quella avvenuta nella gola di Sant’Andrea, dove passa la Via Appia Antica, nel Fortino di Sant’Andrea.
LA NOSTRA ESPERIENZA
Questo monumento rappresenta una “possibile” riproduzione di Michele Pezza, detto Fra’ Diavolo. Si tratta di un mezzobusto senza braccia sorretto da un basamento con una targa che recita;
“A Michele Arcangelo, Domenico, Pasquale Pezza, alias Fra’ Diavolo, colonnello e duca di Cassano allo Ionio, difensore del suolo patrio, cavaliere dell’Ideale e dell’onore militare, personaggio, la cui leggenda, si è trasformata in mito”. A. Saccoccio.
Epigrafe alla memore dell’illustre Colonnello Michele Pezza, a cura del comitato Sant’Angelo con il contributo della Cassa Rurale ed Artigiana dell’Agro Pontino.
Sul fondo della targa è segnata la data 8 Settembre 2019, giorno in cui probabilmente è stato inaugurato questo monumento.
Non conoscevamo la storia di quest’uomo, controversa sotto tanti punti di vista ma allo stesso tempo intrisa di un certo fascino. Sicuramente il suo personaggio, per essere compreso, va calato in quello che era il periodo storico e sociale di quel tempo. Personalmente, non ci siamo fatti un’idea positiva o negativa, ma abbiamo apprezzato la storia e soprattutto lo spirito di verità e conoscenza che la città di Itri porta avanti su questo personaggio e sul fenomeno del brigantaggio, come testimoniato anche dall’interessantissimo “Museo del Brigantaggio” a cui vi rimandiamo nelle nostre pagine per approfondire questo fenomeno tanto complesso.

