IL MUSEO CHE SI TROVA A ITRI E’:
MUSEO DEL BRIGANTAGGIO
COME ARRIVARE: (possibile arrivare con l’automobile)
Partendo da Via Ponte Tavolato (Fondi) svoltate a destra sulla Strada Statale 7 che porta a Itri e andate sempre dritto fino a che vedrete di fronte a voi nella parte alta del borgo, il Castello Medievale. Proprio su questa strada c’è un cartello che indica il Museo del Brigantaggio sulla sinistra. Seguitelo ma invece che andare dritti svoltate immediatamente a destra (cosi facendo sarete sulla parallela della strada principale da dove siete arrivati). Poco dopo sulla sinistra troverete il cancello d’entrata del Museo del Brigantaggio.
Il Brigantaggio ha rappresentato uno dei fenomeni storici più importanti e drammatici del Lazio, soprattutto della parte più a sud. Negli anni, la documentazione disponibile dimostra i suoi legami con vari ambienti diversi, come la religione, il servizio militare, la vita sociale, l’arte e soprattutto la criminologia.
Il Museo del Brigantaggio, inaugurato nel 2003, fu costruito al posto di un vecchio asilo abbandonato. Non offre ritrovamenti storici di nessun genere, piuttosto si propone come centro di ricerca e documentazione, con percorsi precisi in grado di far entrare il visitatore in contatto con fonti veritiere dell’epoca, rese possibili da alcune tracce scritte, e video di testimoni locali, che metterà in mostra il conflitto di interpretazioni sulle storie dei briganti.
Il Museo assomiglia molto ad un magazzino con pezzi da “collezione”, addirittura è concesso poter toccare con mano diversi oggetti e ascoltare delle tracce audio/video tramite apposite cuffie. Il focus principale si incentra sulla figura di Michele Pezza, detto Fra’ Diavolo, brigante nato a Itri nel 1771.
Il percorso espositivo si compone in 3 sezioni: Ragioni della Storia, Ragioni del Mito, Ragioni del Luogo.
Nella sezione della storia viene rappresentato il motivo della repressione dei briganti, dalla fine del XVIII secolo alla fine del XIX. Uomini e donne furono vittime di una persecuzione spietata anche al di fuori della legge, e il prezzo del sangue versato fu molto alto.
Nella sezione del mito viene visualizzata una diversa interpretazione del brigantaggio; infatti da molti erano visti come “miti” tanto da essere raccontati in vari testi letterari, opere liriche e teatrali, dipinti e addirittura in alcune produzioni cinematografiche.
Nell’ultima sezione, quella del luogo, viene esposta un’ulteriore interpretazione del brigantaggio. Ci si accosta al brigante per riappropriarsi della sua storia, in quanto risorsa e patrimonio della zona, per rivendicare la lealtà mostrata alla sua terra.
LA NOSTRA ESPERIENZA

All’esterno si presenta come un museo moderno con un cancello in ferro con su impressa la propria insegna “COMUNE DI ITRI MUSEO DEMOANTROPOLOGICO DEL BRIGANTAGGIO”. A dir la verità, a nostro modo di vedere l’insegna è poco visibile e soprattutto poco chiara, in quanto gli infissi dividono alcune lettere durante la lettura.
In ogni caso, siamo entrati con un biglietto gratuito (valido solo per un determinato periodo così come il castello) ma l’ingresso dovrebbe comunque rientrare nei prezzi standard da 3 a 5 euro massimo.

Superato il cancello, prima di arrivare alla porta d’ingresso si passa attraverso una piccola area verde (probabilmente il giardino del vecchio asilo), tenuto con cura dai responsabili. Superata una scala, arriviamo di fronte alla porta d’accesso e notiamo subito una strana figura fatta di pietre “costruita” direttamente a terra sdraiata. Leggendo poi una didascalia all’interno del museo, abbiamo scoperto che si tratta di una figura fatta con pietre locali, che riporta ad una tragedia avvenuta in passato. Si tratta di un corpo sfigurato esanime, che richiede sepoltura. Il suo scopo è invitare a prendere sul serio la missione etica e riflessiva del Museo del Brigantaggio.

Entrati all’interno, veniamo subito accolti dalla guida che ci racconta un po’ la storia della costruzione di questo museo, già descritta qui sopra, dopo di che cominciamo la nostra esplorazione, che ricordiamo essere libera, quindi non esiste un percorso obbligatorio.
Sulla sinistra all’entrata è presente la biglietteria, con una raccolta di libri e volantini vari (alcuni prendibili) che spiegano la storia di Itri e del suo territorio. Mentre invece dritto davanti all’entrata è presente una sala vuota. Di conseguenza tutta l’area del museo è collocata sul lato destro. Cominciamo l’esplorazione vera e propria! 🙂
Questo è stato il nostro terzo museo visitato da proprietari di questo sito, ma si nota subito la differenza rispetto ai classici musei. C’è molta interattività e oggetti esposti senza sensori e senza particolari luci, a dimostrare che non si tratta di reperti archeologici (anche se chiaramente non ci si può permettere di prendere in mano gli oggetti esposti).
La prima colonna frontale, mostra 4 pannelli illustrativi che danno risposte ad altrettante domande sui briganti: COME? (spiega come i francesi importarono in Italia il termine “brigante”) – DOVE? (spiega gli avvenimenti del brigantaggio nel Basso Lazio) – QUANDO? (spiega perchè ha senso parlare di brigantaggio dal 1796 al 1880) – CHI? (spiega chi erano i briganti e perchè venivano definiti tali).


Sulla destra spicca immediatamente una bandiera italiana con su scritto “Fratelli d’Italia anche loro” con vari pupazzi di legno che l’attraversano e un’altra bambola di pezza più grande seduta su una piccola panca di fronte a vari ritagli di fogli. Un pannello laterale spiega le “ragioni” per il comportamento dei briganti, mentre nelle immediate vicinanze c’è la rappresentazione di un ipotetico tesoro di un brigante.



Subito oltre sulla destra notiamo un pannello interattivo, dotato di cuffie e schermo. Questo pannello ci dà la possibilità di indossare un paio di cuffie (sono disponibili 2 cuffie contemporaneamente) e visualizzare decine di video con testimonianze di persone che raccontano vari aneddoti legati ai briganti locali. Dovendo visitare il resto del paese, non ci è stato possibile ascoltarle tutte, e così ci siamo soffermati solo su alcune, di cui una ci ha particolarmente colpiti in quanto racconta un episodio proprio di Michele Pezza detto Fra’ Diavolo, in cui un’anziana signora di nome Concetta Sinapi racconta del perché gli fu dato questo soprannome, ma per questa testimonianza vi rimandiamo alla sezione “curiosità” dove parlando della casa di Fra’ Diavolo approfondiremo di più questo discorso.


Nelle immediate vicinanze è presente una piccola stanza dove all’interno sono esposti alcuni disegni e foto che riguardano il lutto, con un ammasso di pietre e una croce di legno piantata all’interno. Inoltre sono appese rappresentazioni di autobiografie di briganti realmente esistiti come Fra’ Diavolo e Antonio Gasbarrone, che spiegano i motivi delle loro gesta. (Ci scusiamo per la bassa qualità della foto, purtroppo ce ne siamo accorti solo una volta tornati a Roma 🙁 )


Poco oltre la sala prosegue con l’esposizione di vario materiale come; foto, statuine, pupazzetti, quaderni, e libretti. Tutto quanto parla di briganti e brigantesse, tra cui c’è la “dubbia” iconografia (brigantessa o modella) attribuita a Michelina De Cesari. E’ presente anche uno sfondo grande tratto dal libro di fumetti “Briganti. Il brigantaggio del primo ottocento in Ciociaria”.
Più avanti è impossibile non notare in una teca di vetro, una rappresentazione molto realistica della battaglia di Fra’ Diavolo all’assalto dei francesi. Soldatini di piombo si danno battaglia in uno sfondo che ricorda molto il Lazio meridionale. Su una roccia è possibile vedere proprio Fra’ Diavolo incitare i suoi guerriglieri. Curioso anche lo spazio dedicato alla Madonna della Civita all’interno di questo diorama.



Proseguendo si arriva ad una delle stampe a parete a grandezza d’uomo, dove ne spicca una per importanza. Per capire di quale si tratta, basta avvicinarsi e dare un occhiata al libro accanto, in cui si può vedere un “ipotetica” rappresentazione di Fra’ Diavolo. Purtroppo non si sa se sia reale oppure no il suo ritratto, ma dalle fonti del museo, sembra essere la più veritiera anche se rimane ancora oggi il dubbio.
Andando avanti possiamo vedere posizionato sopra ad una sedia, un disegno de “il brigante morente”, con curiose storie sull’atteggiamento del brigante prima di morire. Poco oltre è possibile ascoltare delle tracce di opere liriche legate ai briganti. Su una parete nelle immediate vicinanze, è possibile vedere una rappresentazione di un bosco notturno in larga scala. Il motivo per il quale è stato fatto all’interno del museo è riconducibile al fatto di voler ricreare la situazione dei briganti, che di notte tra i boschi, spesso tendevano un agguato ai malcapitati di turno, in cerca di un nuovo bottino.




Lì vicino c’è anche un piccolo teatrino di burattini, che racconta storie di briganti e damigelle, mentre poco oltre sono esposti dei costumi ambosessi di briganti a misura reale. Abbiamo trovato bellissimi invece i 6 pannelli movibili, che riportano un ritratto reale del brigante Gasbarrone.


Più avanti sono interessanti (anche se non sappiamo siano reali o rappresentazioni), dei ritagli di un giornale incorniciati; si tratta de “L’emporio pittoresco” del 1865 che scrive un articolo su 3 brigantesse e altri briganti.


Ci aspetta ora un aspetto molto “macabro” del brigantaggio. Un angolo del museo infatti, è dedicato alle “immagini catturate” dei briganti messi a morte. Alcune foto sono davvero inquietanti, se si pensa alla motivazione di tale gesto. Infatti i briganti venivano resi spesso ridicoli dopo la morte, così da sbeffeggiarli dopo essere stati al potere in vita. Venivano quindi vestiti da “mestiere” per mostrarli inoffensivi a chi guardava. Altre foto invece immortalano il brigante, consapevole della sua esecuzione dopo la cattura, e di conseguenza ognuno aveva la sua interpretazione del momento; chi aveva gli occhi tristi, chi ironici, chi esprimeva dolore ancor prima e chi invece esprimeva tremenda paura nell’attesa del momento. Altre foto mostrano invece alcuni briganti, esibiti come fossero ancora vivi; questo stile richiama il delitto commesso dal brigante, come ad esempio una mano tagliata del ladro, o una lingua mozzata di un bestemmiatore. Nel caso menzionato sopra, mostra in modo piuttosto grottesco i briganti con le loro armi in pugno nell’istante che li vede colpevoli e poi puniti mentre erano in vita.





Un’altra piccola parete mostra gli strumenti di lavoro e di caccia, legati ai briganti, che venivano sempre accostati ad ambienti boschivi e rappresentati come uomini dalla natura selvaggia.
Proseguendo è possibile notare un “groviglio” di armi da taglio e da fuoco, insieme a strumenti da contadino, tutte racchiuse in una piccola teca in vetro. Questo groviglio rappresenta come i briganti passavano dall’essere contadini, a impugnare armi di ogni tipo, che siano strumenti da lavoro o armi da fuoco vere e proprie. Poco oltre in una lunga teca di vetro, sono presenti piccole sagome argentate di briganti in guerra.


Ci sarebbe da scrivere e raccontare molto altro, ma ovviamente abbiamo scelto quello che ci ha più colpito. In ogni caso vi consigliamo di fare un salto in questo museo e di ascoltare e vedere il più possibile perché rappresenta un pezzo di storia italiana che vale la pena conoscere e comprendere.